Capitali in fuga dalla Turchia… ma soprattutto dalle idee di Erdogan

Ci sarebbero molti motivi per ritenere la Turchia un paese con buone prospettive future. Se non fosse per il suo leader, Erdogan, che ha costruito il suo consenso su fattori (come l’iperindebitamento) che stanno facendo sprofondare il Paese nella spirale opposta. Ossia un’economia caratterizzata da svalutazione, inflazione e capitali in fuga.

Cosa spaventa i capitali in Turchia

Il nocciolo della questione è che il presidente ha una profonda e conclamata avversione ai tassi di interesse alti. Erdogan si professa fedele ai dettami del Corano e alla sharia. Una legge che vieta l’applicazione dei tassi d’interesse ai contratti di debito. Ma la sua avversione ai tassi non ha solo questa spiegazione. Lui ritiene – contrariamente a quanto pensano tutti gli economisti mondiali – che i tassi bassi alleggeriscano l’inflazione. Ma è l’esatto opposto. E in una situazione con tassi bassi e inflazione alta, la fuga di capitali è assciurata. E infatti gli Hedge Funds più grandi al mondo cominciano a starne alla larga.

Le mosse avventate di Erdogan

Il fatto è che Erdogan ha pieni poteri (glieli accorda la nuova costituzione), per cui quello che pensano gli altri non conta. Conta solo quello che vuole lui. E così ha licenziato il governatore della banca centrale turca, Naci Agbal, colpevole proprio di aver alzato i tassi d’interesse per frenare un’inflazione che continua a galoppare attorno al 16 per cento.
E’ una storia già vista e rivista. Ogni volta che la situazione si surriscalda, Erdogan chiama un governatore che – ovviamente- ci mette una pezza e alza i tassi. Poi però, appena le acque si calmano, Erdogan lo rimuove e torna al vecchio copione. E manda di nuovo i capitali in fuga.

L’indebitamento come motore della crescita

Oltre alla fede religiosa e alla convinzione (sbagliata) economica, per Erdogan i tassi bassi significano soprattutto popolarità e consenso. La possibilità di finanziarsi a basso costo genera sviluppo economico, da una delle sue priorità. Ma finisce per drogare l’economia. E prima o poi il conto dell’indebitamento si deve pagare.
La svalutazione profonda della Lira è il prezzo più evidente da pagare. La valuta turca è precipitata diverse volte sui minimi storici contro il dollaro, e anche oggi le previsioni sulla Lira turca TRY non sono affatto buone.
Dal 2013 a oggi il tasso di cambio della lira turca si è svalutato del 300%, passando da 2,3 a quasi 9 sull’euro, con oscillazioni giornaliere anche del 15%.

La banca centrale sotto pressione

Per arginare i crolli della Lira, finora si è mossa tantissimo la banca centrale, che ha rastrellato valute sul mercato. Ma così facendo sono andati in fumo 130 miliardi di dollari in riserve ufficiali. C’è chi dice si siano ridotte a poco meno di 10 miliardi di dollari. Questo significa che molto presto l’unica arma “alternativa” per arginare il crollo della Lira si esaurirà. E allora sì che saranno dolori.