Negli ultimi anni il tema della transizione verso un’economia green ha stuzzicato la finanza internazionale, che all’interno di questo settore ha vissuto una vera e propria ubriacatura. Ma proprio come succede dopo una sbornia, i postumi sono da mal di testa e devono far riflettere sui danni che provocano certi eccessi.
La transizione energetica e la finanza
Il sogno di un mondo che avrebbe corso spedito verso un’economia green ha lasciato il posto ad una realtà ben diversa, perché la frenata della transizione ecologica è chiaramente testimoniata dai numeri.
A bloccare lo sviluppo delle energie pulite sono diversi fattori. I tassi di interesse elevati hanno reso gli investimenti troppo costosi, e in molti casi si è deciso di rinviare nuovi progetti al futuro (altri sono proprio naufragati).
Le catene di fornitura mondiali singhiozzano e questo ha portato ad un aumento dei prezzi dei materiali indispensabili. Il tutto è condito dalle tensioni geopolitiche che aggravano ulteriormente i problemi anzi detti su disponibilità e price action.
Meno entusiasmo, più obbiettività
Anche se il mondo ha compreso che la svolta green è necessaria, il mondo della finanza ha cominciato ad essere più obiettivo rispetto a quello che era qualche tempo fa. Al posto di guardare ai sogni, ha deciso di guardare ai fondamentali ossia ai numeri.
Non si può parlare però di una crisi di fiducia da parte della finanza sul green, quanto più che altro un ritorno alla ragionevolezza. Ciò induce sempre a guardare ai valori obiettivi e alle prospettive reali, che oggi come oggi raccontano di rischi enormi nella transizione ecologica.
La frenata
I numeri raccontano che nelle ultime settimane alcune grandi aziende del settore eolico come Siemens Energy hanno avuto problemi enormi che si sono ripercossi sulle quotazioni in borsa. Ma anche nell’ambito automobilistico sono evidenti problemi nella produzione di veicoli elettrici.
Un altro esempio eclatante riguardo uno degli Exchange traded Fund più liquidi sul mercato specializzato nel settore green, ossia l’iShares Global Clean Energy, che è crollato del 34% in questo 2023 (fonte dati Pocket Option Italia). Il dato è ancora più impietoso se si pensa che nello stesso lasso di tempo l’indice del mercato azionario americano ha guadagnato oltre il 15%.
Anche le emissioni obbligazionarie private legate alle energie pulite hanno subito un forte rallentamento.